C’è solo una strada che passa nell’interno della Tanzania: parte dalla città di Dar es Salam, sulla costa, e attraversa tutto il paese.
Dopo quattro ore di macchina, in direzione della capitale Dodoma, si cominciano a vedere in distanza i picchi rocciosi che sbucano in cima alla catena dei Monti Nguru, coperti dalla foresta pluviale e quasi sempre avvolti in una fitta nebbia. E’ lì in mezzo, cioè in uno dei luoghi finora meno esplorati della terra, che Michele Menegon, ricercartore del Museo Tridentino di Scienze Naturali, ha scoperto 17 nuove specie di rettili e anfibi. Per quanto se ne sa fino ad ora queste rane, rospi, camaleonti e serpenti, che nessun occhio umano aveva mai visti finora, e che non hanno ancora un nome, vivono solo su queste montagne. Dopo diverse spedizioni, per un totale di oltre due mesi interi trascorsi tra i 700 e i 2400 metri, sono state catalogate 97 specie di rettili e anfibi e, tra queste, 17 sono appunto risultate totalmente sconosciute. Molte altre rischiano di restarlo per sempre, visto che possono estinguersi a breve, prima che l’uomo ne scopra l’esistenza. Questa foresta montana, che si estende su un’area di circa 180 km quadrati, è minacciata dalla pressione da parte delle popolazioni indigene che vivono ai suoi margini. La gente dell’altopiano taglia e brucia gli alberi per far posto alle coltivazioni di mais, patate e altri ortaggi. Prima ancora di avere un nome, quindi, molti di questi organismi che abitano questa zona rischiano di scomparire.


Stare settimane nella “msituni kabisa”, nel cuore della foresta, come dicono le guide e i portatori che accompagnano queste spedizioni, non è impresa semplice. Per cinque ricercatori servono almeno 12 portatori, per un bagaglio complessivo di due quintali e mezzo. Per trovare rettili e anfibi ci sono due condizioni ideali: la stagione delle piogge, quando la foresta è al suo massimo di umidità, e il buio. E’ per questo che mentre gli altri dormono nel campo, Michele va in giro per la foresta con le sue torce.
La molla che lo spinge è quella di cercare di essere il primo uomo ad avere tra le mani un essere vivente che nessuno, fino a quel momento, aveva mai visto. E poi studiarlo, dargli un nome e presentarlo alla comunità scientifica. Tra le 17 specie scoperte ce n’è stata una che lo ha colpito più di altre. “Era diventato buio da poco. Mi ero mosso solo di qualche decina di metri dal campo – racconta Menegon - e stavo ascoltando i canti che arrivavano dai rami degli alberi. Distinguo un hyperolius, piccola rana gialla che conosco bene ma sento anche un altro canto più sommesso, che ricorda quello di altre specie di calluline incontrate su altri massicci montuosi. Era diverso: frequenze più basse, con una ripetizione delle note più lenta, e di norma il canto delle calluline conosciute finora proviene sempre dai rami degli alberi, mentre questo arriva dal basso. Cerco con la pila tra le foglie alla base di un grosso albero e vedo una grossa rana seminascosta. La guardo nella luce della torcia frontale, e sono subito certo che si tratta di una specie nuova: appartiene al genere delle Calluline, ma è completamente diversa da quelle note fino ad oggi: più grande con grosse ghiandole chiare sulle zampe, colorata e con la pelle che produce riflessi metallici. Ha occhi arancioni e un colore mai visto. L’ho messa nella sacca e sapevo di aver iniziato bene il giro quella sera”.

Una specie nuova di anfibio del genere Callulina, trovato sui monti Nguru nel corso delle spedizioni del 2004-2006. Femmina
Una nuova specie di rana arboricola del genere Leptopelis
Il serpente Philothamnus hoplogaster nella sua variante di colore blu

La più impressionante delle nuove specie trovate sui Monti Nguru, grande e coperta di ghiandole, è del genere Nectophrynoides. Il sistema di ghiandole potrebbe rappresentare un sistema difensivo associato a secrezioni velenose.

La rarissima Prosymna ornatissima, ritenuta estinta da decenni e ritrovata solo di recente.
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