Sessanta giorni esatti per concatenare le cime degli 82 «quattromila» delle Alpi. Ma l'impresa di Franco Nicolini, Guida Alpina di Molveno, Diego Giovannini di Lavis e Mirco Mezzanotte, «il camoscio del Tesino», vale il doppio, perché l'attacco di ognuna delle 82 vette non è stato raggiunto grazie ad elicotteri o altri mezzi a motore, ma solo ed esclusivamente con le loro gambe. Spingendo sui pedali delle loro bici per lo più, attraverso le valli dell'arco alpino, di Francia, Svizzera, Italia, oppure con gli sci d'alpinismo o a piedi quando, come capita sopra Zermatt o nell'Oberland svizzero, sono più di uno i quattromila che si affacciano su un unico versante o su un ghiacciaio e si possono salire in successione come le Tre Cime del Bondone.
Ci aveva provato anche 2 anni fa Franco Nicolini, insieme al valtellinese Michele Compagnoni, ma il maltempo non aveva dato loro tregua e così dopo essere usciti indenni da due valanghe e aver salito 25 cime in otto giorni di bel tempo su quaranta, si erano fermati per il rischio eccessivo. Lo scorso anno l'idea era stata ripresa da un alpinista sloveno, Miha Valic, che in effetti è riuscito a salire tutte le 82 cime, insieme ad altri 15 alpinisti che si sono alternati con lui: ci hanno messo 112 giorni nonostante utilizzassero per i loro spostamenti l'automobile.
La cavalcata di Nicolini, Giovannini e Mezzanotte aveva preso il via lo scorso 26 giugno, dalle Alpi francesi del massiccio degli Ecrins, salendo i quattromila più a sud dell'arco alpino, il Dom de Neige des Ecrins e la Barre des Ecrins. Poi una dopo l'altra, le vette del Gran Paradiso, del Gruppo del Monte Rosa, prima della abbuffata di quattromila svizzeri nel settore delle Alpi Pennine a ridosso di Francia e Italia. Quindi a fine luglio le vette del Monte Bianco e poi verso il cuore della Svizzera, l'Oberland dove sono rimasti fino a metà della settimana. Venerdì la lunga tappa di trasferimento verso St. Moritz (200 chilometri), per avvicinarsi all'ultima cima, il Bernina 4.049 m sul confine italo-svizzero.
«Erano tre anni che rincorrevo questo progetto, che considero il re dei concatenamenti. Abbiamo fatto tutto a piedi, in bici, senza mai metter piede su una macchina e questo aggiunge valore alla nostra impresa. La soddisfazione maggiore è di aver tenuto più con la testa che con il fisico. Ma insieme alla testa ha tenuto molto bene anche il «team», perché questo risultato è stato un grande lavoro di gruppo, io, Diego, Mirko, alternandoci al comando, modificando il programma sempre in sintonia perché anche questa volta non sono mancati i momenti difficili.L'emozione più forte che ricordo è stata durante la traversata Taschorn-Dom. Ci siamo trovati sulla cresta nel punto in cui era caduto Patrick Berhault. Ci siamo fermati e lo abbiamo ricordato con una preghiera. In fondo anche per noi i pericoli della montagna erano sempre lì: ogni giorno creste, pareti, ghiaccio, roccia per chilometri e chilometri. Abbiamo messo a frutto tutta la nostra esperienza di anni e anni di montagna. Anche il tempo ci ha favorito: su 60 giorni solo 6 giorni di brutto tempo».
1 commento:
Si sono fatti di film di propaganda nazista di montagna?
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